Il governo ha emanato la legge delega che dovrebbe fare da cornice alla tanto agognata riforma fiscale.
Ma davvero sarà possibile raggiungere questo fondamentale obiettivo, da tanto tempo atteso?
Purtroppo, c’è motivo di dubitarne se, per riforma fiscale, non si intende una serie di piccoli ritocchi qua e là ad un intricato e farraginoso sistema in vigore dai primi anni ‘70 ma altresì una vera e propria riforma strutturale del sistema in tutti i suoi maggiori capitoli: tassazione, riscossione, giustizia tributaria ecc.
Un fatto è certo: in questa materia tante sono state le leggi delega anche ben avviate ma nessuna ha raggiunto il traguardo.
Il rischio è che un progetto di complessiva riforma dovrebbe porsi fin troppi obiettivi.
Fra gli altri: eliminare o ridurre le distorsioni e il carico tributario su lavoro e imprese, stimolare la crescita, aumentare la progressività, semplificare il sistema, combattere l’evasione.
Come detto è necessaria una riforma complessiva e non aggiustamenti marginali.
Il sistema ha oramai come sua caratteristica (evidentemente inaccettabile in questo campo) l’irrazionalità generata da tassazioni cedolari, redditi che sfuggono totalmente al principio costituzionale di progressività, bonus, agevolazioni e detrazioni di spese dal reddito distribuite a pioggia per accontentare ogni lobby e finendo per scontentare tutti.
Esempio più evidente e clamoroso di tale situazione le cosiddette “TAX EXPENDITURES”, le spese detraibili o deducibili dal reddito, cresciute enormemente negli ultimi anni passando da poco più di 300 a oltre 1.000 tipologie di spese detraibili che presentano una totale incoerenza rispetto alla logica di ogni normale sistema tributario.
Caratteristica principale di tali oneri detraibili, oltre al numero evidentemente eccessivo, è il loro importo medio molto contenuto: esse, di fatto, sono pertanto un abile metodo, poco trasparente, di andare incontro ai vari gruppi di interesse per finalità evidentemente politiche.
Il tutto genera riduzione di gettito, (molto spesso non giustificato dalla finalità sociale della detrazione) e una moltitudine di aliquote reali differenziate che rendono impossibile la stima egli effetti redistributivi.
Cosa aspettarci allora realisticamente d questo ennesimo tentativo di riforma?
Cosa si riuscirà veramente a fare? Almeno alcune, poche, cose sono evidentemente fondamentali.
Prima di tutto una profonda revisione (ci sarà la forza e li coraggio?) della citata moltitudine delle spese fiscali al fine di individuare risorse certe (e non a debito) per una prima riduzione dell’Irpef in particolar modo con riferimento ai redditi medi e allo scalone causato dall’aliquota che passa dal 27% al 38% per lo scaglione di reddito che va da € 28.001 a € 55.000.
Poi dovrebbe essere affrontato l’annosa (e mai veramente aggredita) problematica relativa alla necessità di semplificazione e sburocratizzazione del sistema con l’eliminazione di una parte degli adempimenti lasciando in vita quelli fondamentali ai fini dichiarativi e poco altro.
Si potrebbe poi allargare il piano di riferimento della fatturazione elettronica che introdotta a partire dall’esercizio 2019 si è rivelata un vero e proprio successo per il sistema fiscale con vantaggi per tutti gli addetti ai lavori oltre che per la lotta all’evasione. Ad oggi però non tutti i contribuenti (ad esempio sono esclusi minimi e forfettari) sono soggetti a tale obbligo generando incompletezza nel flusso complessivo di dati che pervengono all’amministrazione finanziaria con conseguenti disallineamenti e potenziale creazione di operazioni che favoriscono elusione ed evasione.
Dei provvedimenti fino ad ora indicati potrebbe essere il più semplice ed immediato da mettere in pratica.
Infine stante il fatto che non sono disponibili grandi risorse per una forte riduzione del carico fiscale che permetta da solo di favorire la crescita andrebbe di fatto ripensato e rivisto non tanto il livello del prelievo ma la sua composizione ripensando e riformando la tassazione indiretta, quella patrimoniale, quella sulle imprese compreso ovviamente il livello del cuneo fiscale ben sapendo che la crescita si genera soprattutto con gli investimenti pubblici e privati in infrastrutture, ricerca e digitale.
Non c’è che dire, anche cercando di concentrarsi su poche fondamentali cose l’impresa appare improba e di non facile realizzazione e rimanda il pensiero ai precedenti tentativi sempre naufragati.